L’Algeria è pronta ad affrontare le ferite della guerra civile

di Davide Lemmi e Marco Simoncelli

di Davide Lemmi e Marco Simoncelli
per Internazionale

La guerra civile algerina è scoppiata nel 1991 e si è conclusa nel 2002. Secondo alcune stime, le vittime dei combattimenti tra l’esercito e vari gruppi estremisti islamici sono state almeno 150mila e gli scomparsi circa ottomila. Nel 2005 è stata approvata con un referendum la Carta per la pace e la riconciliazione nazionale che prevede l’amnistia per gli ex combattenti, oltre a risarcimenti per le famiglie delle persone scomparse e per quelle dei combattenti morti. Questa legge ha, però, anche imposto il silenzio sul conflitto, generando scontento nei confronti della classe politica che l’ha promossa e che ha continuato a guidare il paese fino all’inizio di quest’anno. Nel febbraio del 2019 è nato un movimento pacifico di protesta in reazione alla candidatura a un quinto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, anziano e malato. Le manifestazioni, che continuano ancora oggi, hanno costretto alle dimissioni di Bouteflika, che fu uno dei principali promotori della politica di riconciliazione. La piazza chiede una transizione democratica e un ricambio generazionale ai vertici dello stato.