L’Iraq paga il prezzo del petrolio

di Sara Manisera

In queste settimane il prezzo della benzina è alle stelle, lamentano i cittadini italiani. 

La premier Giorgia Meloni è andata in Algeria e Libia con Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, per rinegoziare contratti e acquisti di combustibili fossili, pagati anche con soldi pubblici. 

A quale prezzo? 

Alle sette e trenta del mattino le strade di Basra sono ancora addormentate. L'appuntamento è fissato di fronte alla porta di ingresso riservata al personale medico. Senza le autorizzazioni ufficiali da parte del Ministero della sanità, questo è l'unico modo per visitare l'ospedale pediatrico per bambini ammalati di cancro: seguire il dottor A., oncologo pediatrico, uomo gentile e taciturno. Uno di quelli che ha la missione dentro, devoto ai suoi pazienti e al suo Paese, da dove non se n’è mai andato, anche se avrebbe potuto. 

Il Basra Child Cancer Hospital è la sola struttura pediatrica nel sud dell'Iraq, un'area dove abitano più di sette milioni di persone. C’è chi arriva da Nasiriyah, da Amara, da Missan, chi da Basra e dalle sue periferie degli idrocarburi.

L’ospedale è stato costruito per volere di Laura Bush, la moglie di George W. Bush, quell’ex presidente statunitense che volle a tutti i costi invadere l'Iraq, che trasformò i media in propaganda di guerra, e che mentì al mondo intero sulla presenza di armi di distruzione di massa, mai trovate e mai esistite. 

La storia, un giorno, sarà forse riscritta ma, di fatto, quell’invasione permise alle multinazionali del petrolio di entrare in Iraq, stipulando contratti per la gestione, la produzione e l’estrazione di petrolio a loro vantaggio. 

Ai cancelli del Basra Child Cancer Hospital, sono appesi due cartelli. Su entrambi sono ben visibili i loghi di alcune multinazionali del petrolio. Una italiana, l'altra coreana. 

Con i soldi di quella che è chiamata “responsabilità sociale”, sarà ampliato un reparto di oncologia pediatrica. Trenta posti in più, in un ospedale che oggi ne ha quarantacinque, sempre occupati da qualche innocente senza colpa. 

Quanta ipocrisia c'è dietro i subdoli guadagni di coloro che seminano morte? 

Dopo diverse settimane trascorse in queste periferie degli idrocarburi, dove l’aria è costantemente acre e pungente e le torce, che bruciano gas e polmoni, illuminano territori infetti, è proprio in questo ospedale pediatrico che si chiude il nostro lavoro di inchiesta. 

Un lavoro fatto di decine di incontri e interviste con famiglie, contadini, pescatori, operai, sindacalisti, attivisti, donne, uomini e bambini ammalati, medici, esperti, e funzionari pubblici. 

Diciannove giorni sul campo per riuscire a unire le piccole storie locali con la grande storia. La storia che riguarda anche e soprattutto noi, che dovrebbe interrogarci quotidianamente, essere al centro del dibattito pubblico, ma che invece non lo è perché le pagine dei giornali sono comprate proprio dalle multinazionali del petrolio. La storia dei Paesi del Sud del mondo che affrontano in prima persona le conseguenze dell’estrattivismo fossile.


A quale prezzo? 

Questa è la domanda che riecheggia nella testa. 

Chi paga il prezzo della crisi climatica? 

Chi paga per i canali millenari e le paludi mesopotamiche prosciugate? 

Chi paga per l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e della salute delle persone? 

Lo paga Abu Abdallah, uomo mite dagli occhi indulgenti, che viveva grazie alla pesca del fiume, ormai saccheggiato dall’industria del petrolio, e che oggi non ha proprio più niente. 

Lo paga Hussein che ringrazia con una dolcezza commovente il dottor A., “il dottore migliore del mondo”, perché quando gli inietta la "medicina" per la sua leucemia acuta non gli fa male. 

Lo paga Ameer che non può fare l'ambientalista perché a parlare di acqua e di compagnie petrolifere in Iraq, si rischia di essere uccisi. 

Lo pagano i poveri, i poveri delle periferie degli idrocarburi che si assomigliano tutte. 

Questo è il prezzo del petrolio oggi. Un prezzo troppo caro pagato da altri mentre mecenati di guerre e di affari ingrossano conti e bilanci in qualche paradiso fiscale. 

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