Pretendere dalla realtà sempre di più
Siamo nella società delle rappresentazione e dei pochi fatti.
La realtà descritta dalle immagini supera la realtà stessa diventando quella che possiamo definire come una iper-rappresentazione del mondo. Si spettacolarizza per tenersi stretta la necessità che le persone ci seguano e così l'immagine mira a rapire l’attenzione e sconvolgere.
È un modo, non poi tanto nuovo, di fare informazione all’interno della macchina mediatica che coinvolge ogni giorno i comuni cittadini. È un modo, non poi tanto nuovo, di dimostrare che noi ci siamo passati nel dolore degli altri. Lo abbiamo visto, documentato e quindi possiamo permetterci di mostrare come e cosa vogliamo a seconda del nostro giudizio.
Appiattendo la narrativa delle immagini chi ci guarda si sente coinvolto in un processo di apparenze e allo stesso tempo sancisce con la propria presenza il nostro successo. La fotografia inquadra gli eventi come una lente di ingrandimento e li avvicina a noi abbellendo ogni cosa.
Ogni guerra che per interessi economici o sociali tocca il mondo occidentale si porta con sé un gigante panorama fotografico. Cosa succede a quelle guerre meno descritte e raccontate? Siamo diventati tutti iperrealisti: vogliamo vedere. Siamo tutti presi da un'irrefrenabile attrazione voyeuristica.
Così perdiamo tutto. Perdiamo il nostro lavoro sul campo, perdiamo la capacità di indignarci, perdiamo il racconto di chi ci sta davanti e perdiamo l’opportunità di educare chi ci legge ed educarci tra di noi.
Come diceva Gianfranco Bettetini
..dal punto di vista etico, [...] credo sia
giusto e doveroso interrogarsi sul limite al
quale deve fermarsi non solo la macchina
fotografica, ma prima ancora la nostra
ansia di vedere e di mostrare.
di Arianna Pagani