Una riflessione di… Sara Manisera
di Sara Manisera
Degli esseri umani morti sulla frontiera di Melilla o nel deserto non resterà che la solita indignazione da social.
Quella che dura 12, 24 ore al massimo e qualche slides su Instagram.
Neanche le immagini - qual è il limite tra denuncia, racconto e pornografia dei corpi e del dolore mi domando ultimamente - a cui abbiamo assuefatto i cittadini e le cittadine riusciranno a spingere verso a una qualche forma di mobilitazione e indignazione civile.
Ciò che manca - a mio modesto parere - sono due semplici questioni fondamentali, raramente presenti sulle prime pagine dei giornali e in tv.
La prima: il diritto al viaggio è privilegio di pochi, ricchi.
Chi ha un determinato passaporto può spostarsi, muoversi e viaggiare praticamente ovunque, senza quasi alcun limite.
Vale per gli europei, i ricchi statunitensi o i ricchi libanesi, siriani, russi e via discorrendo.
Per gli altri - I poveri e i neri in genere - non rimane altra scelta che pagare e affidarsi nelle mani di un trafficante, smuggler, facilitatore o agenzia di viaggi illegale.
E qui subentra il secondo grande tema: i visti.
Se hai un passaporto iracheno, afghano, maliano, guineano o di altri paesi considerati di serie B-C o Z da noi democratici europei, ecco che ottenere un visto a un consolato italiano o francese è pressoché impossibile.
A meno che tu sia ricco, ovviamente.
Paghi, compri una casa e ti sarà data la cittadinanza (il caso dei passaporti venduti ai russi da Malta dovrebbe insegnare, vedasi inchiesta di Irpi Media)
E quindi, di nuovo, di fronte all’assenza di vie legali per spostarsi, l’unica soluzione restano gli smugglers, i facilitatori o passeurs.
Che costano, si pagano e in genere percorrono rotte pericolose con viaggi che durano anche due, tre o quattro anni.
E quindi, ciò che molto spesso accade è che le persone delle classi medio-basse che non possono accedere ai visti si indebitano, investendo tutto su quel figlio che intraprende il viaggio della morte.
Insomma il tema vero da porre al centro del dibattito pubblico è il diritto al viaggio.
E la necessità di sbloccare visti - di studio, di lavoro, di ricongiungimento familiare - per permettere alle persone di spostarsi e viaggiare in sicurezza.